Category: Libri


Dalia Nera, James Ellroy

"Dalia Nera", James Ellroy, Mondadori, 2010

Dalia Nera di James Ellroy è il primo romanzo della tetralogia di Los Angeles, scritta dall’autore “maledetto” a partire dal 1987.

Lee Blanchard e Dwight Bleichert sono due agenti della polizia di Los Angeles, entrambi ex pugili, che indagano prima in coppia, e poi separatamente, sull’omicidio di Elizabeth Short, conosciuta come Dalia Nera per la tendenza della ragazza a vestire sempre di nero. Il caso è di difficile soluzione, tanto da venire archiviato dopo mesi di indagini insoddisfacenti. Lee e Dwight, assorbiti totalmente dalla faccenda, decidono di dare anima e corpo per risolvere il caso.

Ellroy nel primo dei  quattro romanzi ambientati in California, è in grado di strutturare una densissima trama di avvenimenti, collegati l’uno all’altro in modo inaspettato e insospettabile sin dall’inizio; la sua capacità di far quadrare i conti con una fitta rete di rimandi è davvero sorprendente, ed è in grado di illudere il proprio lettore – portandolo apparentemente sulla retta via per districare i nodi del caso – disilludendolo poi con trovate geniali e colpi di scena.

Va fatto poi un plauso all’autore per la capacità che ha avuto nel delineare le personalità dei propri personaggi, evidenziando in maniera puntuale le difficoltà, le angosce e i ripensamenti degli stessi nel corso delle indagini. I due protagonisti sono delineati a tutto tondo, si è infatti in grado di capire il loro modo di pensare, di agire e di rapportarsi verso gli altri. La stessa Dalia Nera, oggetto delle indagini, è messa a tal punto in rilievo nella narrazione, che pare resuscitare per mostrarsi in tutta la sua bellezza. I personaggi comprimari, infine, sono delineati con arguzia, in quanto le loro peculiarità vanno a sanare le falle comportamentali dell’uno o dell’altro protagonista.

Ellroy è di certo lo scrittore adatto per cominciare ad avvicinarsi ai generi ‘neo noir’ e ‘thriller’, in quanto è inevitabilmente capace di appassionare il lettore alle proprie trame e ai propri intrecci. La scrittura è piana e diretta, l’ideale per immergersi nelle pagine del libro e non scollarsene fino alla fine del romanzo.

Libertà, Jonathan Franzen

"Libertà", Jonathan Franzen, Einaudi, 2011

Libertà di Jonathan Franzen è un romanzo ampio ed organico, strutturato per fasi successive, ma con ampie e frequenti digressioni per consentire un quadro d’insieme più chiaro e completo. La vicenda ruota attorno alla famiglia Berglund, della quale viene tracciata la parabola ascendente prima, e discendente poi, scandagliando gli aspetti più intimi e insospettabili dei diversi protagonisti. L’autore pone in rilievo con grande maestria le difficoltà che si riscontrano nei rapporti di qualsiasi famiglia ordinaria, tra liti, incomprensioni, difficoltà e problemi insoluti da risolvere. Ciò che non si coglie nelle dinamiche familiari sono la quiete e la tranquillità, la mancanza delle quali si fa sentire lungo lo svolgimento dell’intreccio, e a risentirne sono in particolar modo i ragazzi della famiglia, Joey e Jessie, incapaci di relazionarsi ai propri genitori senza pensare agli errori e alle devianze degli stessi.

Patty non è la madre che ogni figlio desidererebbe – e vorrebbe – avere, non fino in fondo, almeno. Presente e forse fin troppo protettiva da una parte, ma incurante della coesione familiare dall’altra, escogita diverse strategie per concedersi numerose ‘scappatelle’; lo stesso tipo di atteggiamento è proprio anche del capo famiglia Berglund, Walter, che fa della sua vita un arazzo, un oggetto nel quale sperimentare la gioia e la sofferenza, il successo lavorativo ed il fallimento di progetti importanti, passando per ideali strambi e contro-ideali da seguire, per non perdere la ‘via’. Sono i due coniugi il fulcro della narrazione, due persone in grado di vivere più vite, concedendosi il cambiamento in tutto e per tutto, assecondando il profondo desiderio di libertà.

Franzen confeziona un’esperienza di vita non indifferente, costruisce quelle sottili dinamiche ed intrichi che si possono cogliere anche al di fuori della realtà immaginaria del romanzo. Nella sua opera non c’è un effettivo sviluppo di avvenimenti, si colgono altresì chiazze di colore che si fondono, dando vita ad un ampio ed un unico quadro: è proprio questa la forza del suo romanzo.

Portello Pulp, Simone Marzini

“Portello Pulp”, Simone Marzini, “Edizioni La Gru”, 2012

Libro agile nella lettura, ma anche nella struttura narrativa, Portello Pulp di Simone Marzini – edito da “Edizioni La Gru” –  è un breve romanzo che per l’andi e rivieni concitato di eventi si legge tutto d’un fiato. Di certo il lettore che conosca Padova o vi abbia passato parte della vita – magari per gli studi universitari – non potrà di certo non ritrovarsi nel proprio mondo, quello di Portello per esempio, o della festaiola Piazza delle Erbe. Ma l’opera prima di Marzini non è un affresco di una città, tutt’altro: la pittoresca Padova (e con essa parte della sua provincia) funge da contorno ideale per il concatenarsi sgangherato degli avvenimenti.

La vicenda prende inizio con le disavventure di Carlo Benzina, abitante abusivo di un appartamento in via Portello, dedito per lo più a scolarsi spritz in Piazza delle Erbe. Un terzetto di malavitosi nord africani, accusandolo di aver sottratto una partita di cocaina, lo sollecita a rendere la droga entro 24 ore per evitare conseguenze spiacevoli. Sarà compito del coraggioso Rambo e dello sprovveduto Pacciani aiutare l’amico in difficoltà, tra paure, idee estemporanee ed un po’ bizzarre per salvarne la vita.

La scrittura dell’autore – alla sua opera prima – è diretta e pungente, spesso scandita da toni coloriti, in pieno stile pulp. Il susseguirsi di frasi mozzate e di dialoghi, fatti di botta e risposta agili e sferzanti, contribuisce a creare un’atmosfera graffiante, capace di creare quella suspense che è il fulcro attorno al quale ruota il romanzo. I colpi di scena – spesso improvvisi e del tutto inaspettati – fanno prendere alla narrazione una piega diversa da quella che il lettore potrebbe aspettarsi  dopo i primi capitoli, e garantiscono un finale di storia non banale e di certo apprezzabile.

Ci sono alcuni punti deboli nel romanzo, che corrispondono a delle scene morte, le quali non fanno riscontrare uno sviluppo nelle vicende sembrando del tutto accessorie; sono quegli stessi punti nei quali sono proposti luoghi comuni che (ad avviso del recensore) potevano essere espunti. Uno su tutti: le “riflessioni” sulla televisione italiana da parte del capo malavitoso nord africano, che strappano certo un sorriso, ma poco c’entrano con il libro. Ad ogni modo, il debutto di Marzini sulla scena letteraria pulp è di certo positivo, con margini di miglioramento che sembrano sicuri.

La sovrana lettrice, Alan Bennett

“La sovrana lettrice”, Alan Bennett, Adelphi

La sovrana lettrice di Alan Bennett narra le vicende improbabili di un’ancora più improbabile Regina di Inghilterra, la quale ormai ultra settantenne scopre per caso il suo interesse – che poi si trasformerà in vera e propria passione – per la lettura. Trovatasi casualmente nella biblioteca ambulante del distretto di Westminster e non volendo essere scortese, la Regina si scopre a prendere in prestito un libro. Questo sarà solo l’inizio di un profondo amore per la lettura – lei che al più dimostrava interesse per le cose, non lo provava – che la porterà a rivedere le proprie priorità, ogni minuto libero, e anche molti di quelli non liberi, saranno dedicati a quest’attività che a fianco dei piaceri non mancherà di portare anche il biasimo di coloro che la circondano.

Protagonista di questo breve romanzo è la lettura, intesa nel suo senso più rivoluzionario, quella lettura capace di scardinare tradizioni, costumi, etichette e buone maniere che persistono invariati da più di 50 anni. Il libro si configura come un unico grande climax di 95 pagine, in cui il processo che va gradualmente ad intensificarsi è l’interesse per la lettura da parte della Regina, che culminerà in conclusione in un finale inaspettato e degno del romanzo. E’ così che questa immaginaria Regina Elisabetta II comincerà, poco alla volta, a diventare più “umana”, nel senso di capace di immedesimarsi nelle persone, soprattutto in quelle di classe sociale inferiore, e di capirne finalmente gli stati d’animo. Saranno i libri e la lettura, che come un muscolo dev’essere allenata, a fare della sovrana una persona, nel vero senso del termine, non di certo gli autori, i quali vengono presentati come arroganti e supponenti snob: molto meglio continuare a immaginarli tra le pagine dei libri, come i loro personaggi. L’ironia della scrittura piacevolmente british di Bennett si adatta perfettamente alle vicende del romanzo e riesce nella pressoché impossibile impresa di far immedesimare il lettore con questa lontanissima e quasi mitologica figura, quale è quella della Regina.

Middlesex, Jeffrey Eugenides

"Middlesex", Jeffrey Eugenides, Mondadori, 2002

Vincitore del premio Pulitzer per la narrativa nel 2003, Middlesex di Jeffrey Eugenides narra la bizzarra storia di Calliope Stephanides, soprannominata dapprima Callie e in seguito Cal. Sì, perché Calliope è un ermafrodito cresciuto come una femmina, e che si scopre tale solamente con l’inizio della pubertà e con le conseguenti tempeste ormonali, che plasmeranno l’aggraziato e ammirato corpo di bambina in un più alto e dinoccolato corpo di ragazzo. Ma quello che sembra essere il semplice racconto di un individuo si rivela, al contrario, una vera e propria saga familiare, durante la quale si ripercorrono le simpatiche e talvolta stravaganti gesta della famiglia Stephanides, le quali fanno da sfondo agli amori poco ortodossi degli avi della protagonista. E furono proprio queste passioni a determinare l’incontro tra le due coppie del medesimo gene modificato, causa nefasta di tutti i guai di Calliope. È quest’ultima che, a soli quindici anni, dovrà decidere se rimanere Callie, mantenendo le certezze finora acquisite e soprattutto preservando quelle dei suoi genitori, oppure diventare Cal, quello che forse è sempre stata, sconvolgendo per sempre la sua vita e quella di chi le sta accanto.

Middlesex è il giusto connubio tra una trama complessa e impegnativa dal punto di vista contenutistico e un linguaggio lineare, scorrevole e spesso ironico. La freschezza e la delicatezza del linguaggio rendono, dunque, leggero il racconto, pur non cadendo mai nella banalità del sentimentalismo e dei luoghi comuni. Attraverso la complessa storia famigliare Eugenides vuole narrare la non meno complessa storia genetica della protagonista. Ed è la protagonista stessa, in prima persona, spaziando tra presente e passato, a raccontare le sue vicende, rendendo perfettamente conto delle sensazioni, dei cambiamenti e dei pensieri che si sono susseguiti. Il punto di forza del romanzo è proprio questa capacità dell’autore di immedesimarsi completamente nella sua protagonista, permettendo così al lettore di sentire quest’ultima più vera, più autentica.

Uno studio in rosso, Arthur Conan Doyle

"Uno studio in rosso", Arthur Conan Doyle, Mondadori

Primo tra i romanzi di Arthur Conan Doyle con protagonista il famoso investigatore privato Sherlock Holmes, Uno studio in rosso è un giallo davvero ben congegnato. Raccontato in prima persona da Watson, il libro inizia con il casuale e fortuito incontro tra Sherlock Holmes e il dottor Watson, i quali si ritroveranno a condividere il medesimo appartamento e a dividerne le spese. La personalità eccentrica e impetuosa di Holmes intrappolerà in una rete di curiosità quello che diventerà il suo più fidato collaboratore, coinvolgendolo nelle indagini del caso cui Holmes sta lavorando. Il cadavere di un tedesco è stato ritrovato in una casa disabitata, il corpo non presenta ferite ma è ricoperto di sangue: questo il misterioso e intricato assassinio di cui i protagonisti dovranno tirare le fila.

Il romanzo è suddiviso in due parti: nella prima veniamo a conoscenza dei fatti e, attraverso i tortuosi e – a primo acchito – indecifrabili percorsi cui Sherlock Holmes ci conduce, scopriamo chi è il colpevole; nella seconda parte è narrata la vicenda che ha portato all’omicidio, e viene spiegato il filo conduttore dei ragionamenti del detective che hanno portato alla cattura dell’assassino.
La chiave di volta del romanzo di Doyle è certamente la figura del protagonista, senza la quale il libro risulterebbe un giallo piacevole e nulla più. La personalità travolgente e sopra le righe di Sherlock Holmes è ciò che tiene il lettore con il naso incollato al libro. Interessante è la spiegazione che il protagonista stesso fa del suo metodo di lavoro; egli, infatti, individua due caratteristiche che un buon investigatore deve possedere: l’osservazione e la deduzione. Una non implica l’altra e una non può prescindere dall’altra. È solo mediante un’accurata osservazione dei fatti e delle prove – senza macchiarsi di inutili e dannosi preconcetti – e l’applicazione meticolosa dell’analisi logica, caratteristica peculiare di Holmes, che anche il caso all’apparenza più complesso risulta essere di una semplicità disarmante, tanto da far esclamare più volte il protagonista: “Elementare, Watson!”.

Sabato, Ian McEwan

“Sabato”, Ian McEwan, Einaudi

Sabato di McEwan è ambientato in una Londra qualunque in un comunissimo sabato qualunque di un qualunque anno dopo l’11 Settembre 2001, e come protagonista ha Henry Perowne, un neurochirurgo qualunque. L’autore ci narra di come il protagonista trascorra queste 24 ore, nelle quali eventi quotidiani e ripetitivi danno vita a tante piccole sequenze di causa ed effetto che porteranno all’anomalo e inaspettato epilogo. Ma i fatti all’apparenza banali di cui si compone il Sabato di Henry Perowne non sono solo questo, essi servono da espediente per consentire a McEwan di riflettere intorno ai rapporti familiari e sociali di questo uomo come tanti – all’apparenza idilliaci ma che nascondono le incrinature tipiche di ogni relazione interpersonale – che si rivelano insicuri e in precario equilibrio, e che altro non sono se non lo specchio dell’insicurezza e della paura che l’attentato dell’11 Settembre ha radicato nell’animo – e di conseguenza nelle azioni – di tutti gli Occidentali, sempre all’erta e pronti alla catastrofe.
Ciò che però alla fine metterà in pericolo il delicato equilibrio dell’idilliaca famiglia borghese del neurochirurgo – composta da una bella e devota moglie e da due intelligenti e promettenti figli – non sarà il preannunciato attacco terroristico, ma un male molto più comune e vicino alla sua realtà.

Il romanzo può apparire ai più come noioso e prolisso, condito da interminabili e poco interessanti descrizioni di neurochirurgia che non fanno che appesantire la narrazione, e più volte caratterizzato da momenti di stasi in cui la trama non procede e lascia spazio a tediosi pensieri del protagonista fini a se stessi. La verità è che dietro alle importanti e delicate tematiche di cui si occupa McEwan in questo libro, il vero protagonista del romanzo è la prosa dell’autore. Certo, questo può sembrare un mero esercizio in cui l’autore voglia sfoggiare il proprio stile: ma che stile! La prosa è talmente ben congegnata e si adatta in modo talmente preciso agli innumerevoli dettagli della giornata del protagonista, che ogni parola appare al proprio posto, nulla è di troppo e persino le descrizioni relative alla professione di Henry Perowne risultano piacevoli. A mano a mano che la narrazione procede ci accorgiamo di desiderare la minuzia di particolari che McEwan utilizza e ci lasciamo trasportare dallo stile labirintico e coinvolgente cui l’autore ci ha abituati.

Satori, Don Winslow

"Satori", Don Winslow, Bompiani, 2012

Satori di Don Winslow è a tutti gli effetti il prequel di Shibumi, best seller internazionale scritto da Trevanian nel 1979. Winslow, in un interessante introduzione al romanzo, specifica come l’idea di scrivere un antefatto alla vicenda di Nikolaj Hel – protagonista di Shibumi – sia scaturita dalla grande ammirazione per lo scrittore americano (scomparso nel 2005) e dall’entusiasmo che caratterizzò la lettura del libro trent’anni or sono.

Nikolaj Hel, esperto nell’arte di uccidere a mani nude – l’hoda kurosu – e campione di Go – noto gioco di abilità orientale – viene scarcerato dalla CIA con il compito di uccidere Juri Vorosenin , Alto Commissario russo di stanza in Cina. Per assolvere all’arduo compito, il giovane è costretto a seguire una sorta di corso preparatorio, per diventare in tutto e per tutto un francese, dall’abbigliamento all’alimentazione, passando per le abitudini e, soprattutto, la lingua e i modi di fare; compito di prepararlo spetterà ad una prostituta d’alto borgo, del quale finirà per innamorarsi.

L’autore è in grado di strutturare in modo fine ed articolato il proprio romanzo, riuscendo ad equilibrare in modo convincente il pathos dell’azione e degli intrighi internazionali e le vicende di sfondo, legate alle infatuazioni amorose e ai complicati e spesso dubbi rapporti di lavoro ed amicizia. La psicologia dei personaggi, tratteggiata con scrupolo, non è fine a se stessa, ma è essenziale per calare i caratteri stessi all’interno della narrazione, cogliendone degli aspetti fondamentali per la comprensione della vicenda. I rapporti tra i protagonisti del romanzo sono paragonabili ad una complicata partita di Go, dove lo spostamento di una pedina nell’una o nell’altra posizione è in grado di spostare gli equilibri in maniera decisiva ed irreversibile; i personaggi vengono quindi a trovarsi di fronte a delle scelte complesse, l’allontanamento dalle quali dipende dal caso o dall’opportunità.

La scrittura adottata da Don Winslow è modulata su due registri stilistici differenti: nei punti in cui vuole far prevalere i pensieri più profondi ed intimi dei personaggi, opta per una prosa fine ed articolata – sebbene mai artificiosa – mentre sceglie una narrazione dialogica e piuttosto rapida per far proseguire la vicenda. Curiosa la scelta di realizzare dei capitoli brevissimi, di poche righe, nei momenti cruciali del romanzo, per focalizzare l’attenzione del lettore sui diversi punti di svolta della storia raccontata.

“Ultimi quaranta secondi della storia del mondo”, Stefano Santarsiere, AbelBooks, 2011

Ultimi quaranta secondi della storia del mondo di Stefano Santarsiere è un romanzo capace di legare insieme le vicende e gli aspetti più disparati – e talvolta insospettabili – degli abitanti di un piccolo paese della Val d’Agri, in Basilicata.

La vicenda ha inizio con il misterioso omicidio di un parroco di paese, conosciuto e molto amato dai fedeli. Le indagini non sono solamente condotte in via ufficiale dalla polizia, vi sono infatti cittadini curiosi ed interessati al caso, oltre a persone che si ritrovano coinvolte in maniera del tutto causale ed indiretta.

I caratteri indagati dall’autore sono scandagliati in maniera precisa, tant’è vero che il lettore può immedesimarsi in ciascuno di essi, cogliendo gli aspetti più profondi della diverse personalità, comprendendo il perché dei differenti comportamenti e modi d’essere. A lettura conclusa è difficile scrollarsi di dosso la personalità marcata, forte e decisa del commissario Sparagno, i timori del professor Belisario, l’enigmatico temperamento di Vardegas, l’opportunismo del giornalista Coppola. La scelta di indagare un buon numero di protagonisti – è difficile asserire chi nell’opera abbia il ruolo più importante, e definirlo sulla base della maggior presenza nell’intreccio pare riduttivo – permette di capire come tutti, nessuno escluso, siano legati da un elemento unificante dal peso specifico notevole, una forza superiore che fa convergere verso lo stesso limite i personaggi, legati da un destino comune.

Al di là di ciò che riguarda direttamente l’aspetto mistico e il culto primordiale, che si rigenera nel presente, è doveroso segnalare la fine struttura dell’intreccio del romanzo, in grado di tenere il lettore sul filo del rasoio, grazie alla particolare struttura ad incastro degli avvenimenti. Come in un buon thriller che si rispetti, gli indizi e gli elementi chiave vengono gestiti col bilancino, resi espliciti gradualmente per accrescere il pathos della narrazione. Gli avvenimenti che riguardano i singoli personaggi si alternano in modo sistematico, per aggiornare costantemente il lettore sugli sviluppi delle diverse situazioni; è così possibile capire ed avvicinarsi in maniera progressiva a quel filo rosso che lega indissolubilmente i personaggi.

Giunti al termine del romanzo gli interrogativi vengono risolti, si rimane però con alcuni dubbi che riguardano l’aspetto mistico della narrazione; in quest’ottica – probabilmente – solo una rilettura del libro può garantire una comprensione più profonda della vicenda spirituale.

Hotel New Hampshire, John Irving

"Hotel New Hampshire", John Irving, Bompiani, 2000

Hotel New Hampshire di John Irving è un romanzo caratterizzato da una struttura narrativa organica, che ruota attorno alle vicissitudini di una sfortunata ed eccentrica famiglia americana. Il loro luogo di provenienza – come da titolo – è il New Hampshire, rappresentato come una distesa desolata, ma comunque luogo dal quale è difficile schiodare le proprie radici.
La famiglia Berry, nel corso degli anni, da avvio a numerose attività alberghiere in giro per il mondo – prima nella terra natia, poi a Vienna, per giungere poi nuovamente negli Stati Uniti, a New York City. Le vicende narrate riguardano in primis Win, il capofamiglia, ma grande importanza hanno anche le difficoltà, gli amori, le esperienze sessuali più o meno ortodosse e i successi dei numerosi figli dello stesso. Il nucleo famigliare, sempre compatto, verrà ad essere ridimensionato per il susseguirsi di tragedie, addii ed arrivederci, ma manterrà sempre quella coesione spesso messa a repentaglio dal destino e mai sciolta.

La capacità che l’autore ha avuto nella stesura del suo romanzo è stata quella di delineare con scrupolo le personalità dei protagonisti, perché proprio su queste è basata gran parte delle fondamenta del romanzo; ogni singolo personaggio è caratterizzato da peculiarità differenti, come Frank, il figlio maggiore, alle prese con la difficoltà nel convivere con la propria omosessualità, o Frannie, vittima di abusi in età adolescenziale e in seguito detentrice di un particolare rapporto col sesso.
L’io narrante dell’opera è il figlio di mezzo, John, attratto da sempre dalla sorella maggiore, al punto da desiderarla con insistenza; amante della palestra come il nonno Iowa Bob, e fedele accompagnatore del padre. Le vicende sono viste con i suoi occhi, lui che funge da vedetta, controlla i propri cari e si preoccupa di prevenirli da scelte sbagliate o azzardate. Ma nell’intrico creato da Irving c’è spazio anche per orsi e finti orsi, saltimbanchi e circensi, prostitute e giocatori di rugby, senza dimenticare giustizieri e turisti bonaccioni.

L’autore è in grado di dare coesione alle differenti vicende, facendo convivere individui con apparentemente nulla in comune, provenienti da mondi diversi, con concezioni di vita tra loro cozzanti. La scrittura adottata da Irving, inoltre, garantisce di dare piena figurazione ai caratteri delineati, dando ampio spazio ai discorsi diretti e ai botta e risposta, senza risparmiarsi nell’utilizzo di lessico colloquiale e talvolta crudo ed immediato.
Pecca del romanzo è quella di avere diversi punti morti, nei quali gli eventi non subiscono sviluppo e i personaggi non hanno alcun tipo di evoluzione; senza questi difetti di forma, probabilmente, si starebbe parlando di un grandissimo romanzo.